sabato 20 novembre 2010

Giovane, bella, intelligente e di classe: un pessimo affare

Una donna di New York ha scritto a un sito di Finanza americano chiedendo consigli su come trovare un marito ricco: già ciò di per sé é divertente, ma il meglio della storia é quello che un tizio le ha risposto.

LEI
Sono una ragazza bella (anzi, bellissima) di 28 anni. Sono intelligente e ho molta classe. Vorrei sposarmi con qualcuno che guadagni minimo mezzo milione di dollari all'anno. C'é in questo sito un uomo che guadagni ciò? Oppure mogli di uomini milionari che possono darmi suggerimenti in merito? Ho già avuto relazioni con uomini che guadagnavano 200 o 250 mila $, ma ciò non mi permette di vivere in Central Park West. Conosco una signora che fa yoga con me, che ha sposato un ricco banchiere e vive a Tribeca, non é bella quanto me e nemmeno tanto intelligente. Quindi mi chiedo, cos'ha fatto x meritare ciò e perché io non ci riesco? Come posso raggiungere il suo livello? ?

LUI
Ho letto la Sua mail con molto interesse, ho pensato profondamente al Suo caso e ho fatto una diagnosi della Sua situazione. Premetto che non sto rubando il suo tempo, dato che guadagno 500 mila $ all'anno.
Detto ciò, considero i fatti nel seguente modo. Quello che Lei offre, visto dalla prospettiva di un Uomo come quello che Lei cerca, é semplicemente un pessimo affare.
E ciò per i seguenti motivi: Lasciando perdere i blablabla, quello che Lei suggerisce é una negoziazione molto semplice. Lei offre la sua bellezza fisica e io ci metto i miei soldi.
Proposta  molto chiara, questa. Ma c'é un piccolo problema. Di sicuro, la Sua bellezza diminuirà poco a poco e un giorno svanirà, mentre é molto probabile che il mio conto bancario aumenterà continuamente. Dunque, in
termini economici, Lei é un attivo che soffre di deprezzamento mentre io sono un attivo che rende dividendi.
Lei non solo soffre un deprezzamento: questo é progressivo, e aumenta ogni anno! Spiego meglio: oggi Lei ha 28 anni, é bella e continuerà così x i prossimi 5/10 anni, ma sempre un pò meno e all'improvviso, quando Lei osserverà una foto di oggi, si accorgerà che é diventata una pera raggrinzita.
Questo significa, in termini di mercato, che oggi Lei é ben quotata, nell'epoca ideale x essere venduta,  non x essere comprata.
Usando il linguaggio di Wall Street, chi la possiede oggi deve metterla in "trading position" (posizione di commercio) e non in "buy and hold" (compra e tieni stretto), che, a quanto sembra, é ciò per cui Lei si offre. Quindi, sempre in termini commerciali, il matrimonio, "buy and hold", con Lei non é un buon affare nel medio/lungo termine.
In compenso, affittarla per un periodo può essere, anche socialmente, un affare ragionevole e potremmo pensarci su. Potremmo cioè avere una relazione per un certo periodo, con vantaggi reciproci.
Peraltro, pensandoci meglio - anche per assicurarmi quanto intelligente, di classe e bellissima Lei sia -  io,  possibile futuro "affittuario" di tale "macchina",  richiedo ciò che é  buona prassi: fare un test drive.
La prego di stabilire data e ora.

Cordialmente,
il Suo Investitore

martedì 16 novembre 2010

Tobin Tax: della serie, alle volte ritornano...


Mi ha sempre incuriosito la Tobin Tax –dal premio Nobel per l’economia James Tobin che la propose nel 1972, anche se autorevole dottrina sostiene che anche Keynes ne era fautore–  l’imposta che colpisce tutte le transazioni sui mercati valutari.
La curiosità nasce dal fatto che questa tassa viene via via riproposta, ma perché? Beh, perché il meccanismo sembra piuttosto semplice e al tempo stesso perfetto: con questa imposta si dovrebbero colpire tutte le transazioni sui mercati valutari per stabilizzarli (penalizzando le speculazioni valutarie a breve termine), e contemporaneamente per procurare delle entrate da destinare alla comunità internazionale: come ha scritto Rustichini, sarebbe come prendere tre piccioni con una fava (colpire gli avidi, stabilizzare i mercati e aiutare i poveri). Ma serve veramente a colpire gli avidi speculatori e stabilizzare i mercati? La teoria ci dice che se introduciamo una tassa sulle transazioni finanziarie, il volume delle transazioni si ridurrà; ma cosa succede a volatilità e speculatori? La riduzione della volatilità nella visione Stiglitz-Summers avviene perché a essere scoraggiati sono gli investitori che operano con informazione imprecisa (noise). Si è capito però che l'effetto sugli speculatori veri, quelli informati, è l'opposto. La riduzione del volume delle transazioni rallenta il trasferimento dell'informazione nei prezzi, e gli speculatori hanno il tempo di fare comodamente i loro profitti. Esperimenti di laboratorio confermano questa analisi: il volume delle transazioni scende, gli scambi si spostano verso mercati non soggetti a tasse, la volatilità aumenta se ci sono zone esenti.
E anche le esperienze confermano che la Tobin Tax non è la manna dal cielo che sembra… Infatti, in molti stati l’imposta è stata introdotta, ha avuto vicende travagliate, e conseguentemente è stata eliminata. È successo in Svezia: introdotta nel 1984, (abolita nel 1992) Argentina (1992), Brasile (2007), Giappone (1999), Finlandia (1992), Olanda (1992), Nuova Zelanda (1992).
Un altro problema non indifferente è la scelta dell’aliquota. Nella mente del premio Nobel Tobin era sufficiente un’aliquota modesta (0,05%) per raccogliere così tanto denaro da sradicare nel mondo la povertà estrema. Nei paesi in cui questa imposta è stata introdotta si è notato un progressivo innalzamento dell’aliquota, che però si rileva ben presto controproducente e fa spostare le transazioni in altri mercati. Emblematico il caso della Svezia, dove l'aliquota iniziale era già alta (0,5%), ma raddoppia (1%) due anni dopo: subito dopo il 60% delle transazioni si sposta a Londra, e la tassa viene eliminata.
Ora, l’idea della Tobin Tax è senza dubbio affascinante, ed è per questo che quando leggo un articolo che ne parla non resisto alla tentazione e cerco sulla rete tutte le più disparate informazioni su quello che vogliono fare i governi, inoltre – a mio parere – il nome dell’imposta richiama Robin Hood, il celebre paladino che rubava ai ricchi (gli avidi speculatori) per dare ai poveri (che, ahimè, non speculano per niente!). Ma le favole spesso sono lontane dagli andamenti del mercato, e per quanto riguarda l’assonanza del nome mi torna in mente che anche la famigerata IRAP, definita da Qualcuno Imposta RAPina, poi non è stata tolta da quel Qualcuno…

lunedì 8 novembre 2010

Il "moral hazard" e lo schema di Ponzi: come una semplice truffa può mettere in crisi un'economia intera

Il rischio morale (moral hazard) è un fenomeno che si ha quando una persona non paga le conseguenze delle sue scelte. Normalmente il rischio morale è considerato un problema: secondo la terminologia economica, un fallimento di mercato. In senso tecnico un fallimento di mercato è ogni allontanamento della realtà dal modello di equilibrio generale competitivo; ma cerchiamo di capire meglio in cosa può consistere un rischio morale.
Ad esempio, immaginiamo che un soggetto A convinca i suoi conoscenti a prestargli soldi sostenendo di conoscere un meccanismo mirabolante per moltiplicarli. La voce gira, i soldi arrivano sempre più numerosi; il meccanismo che sta alla base è semplice: con i soldi degli ultimi si pagano gli interessi, sempre un po’ troppo alti, oppure si rimborsa il capitale dei primi che cominciano ad avere dei dubbi, e così via. Dove è il problema? Il problema è che non c’è il meccanismo mirabolante per moltiplicare i soldi.
Tornando ad A, non è necessario che questi sia disonesto o che scappi con il malloppo. Se A si è preso troppi rischi, o è stato sfortunato, violazioni di legge a parte, il suo meccanismo di truffa cadrà non appena un numero sempre più grande di investitori chiederà indietro i propri soldi, provocando una crisi di liquidità ad A, che si troverà costretto a dichiarare il proprio fallimento. Questo apparentemente semplice meccanismo viene utilizzato da anni per gonfiare bolle speculative in tutto il mondo, perfino quella dei mutui sub-prime. Questa apparentemente semplice catena di Sant’Antonio prende il nome di schema di Ponzi. dal nome di un truffatore di origine italiana, Carlo detto Charles, nato a Lugo di Romagna nel 1882. Rispetto alla catena di Sant'Antonio il Ponzi punta in realtà su una figura carismatica centrale, che mantiene i contatti diretti con i clienti. Non si tratta di una struttura piramidale pura, che ha il difetto di crollare con maggiore rapidità. Negli anni Venti Ponzi organizzò una supertruffa, offrendo il raddoppio in tre mesi del capitale investito in titoli (inesistenti) delle Poste internazionali.
Riprendiamo adesso il nostro esempio, e cambiando un piccolo particolare: se A, però, è una delle banche mondiali salvate con i soldi pubblici, perché troppo grandi per fallire, assistiamo a un fenomeno che vale la pena di ricordare: i debiti si devono sempre pagare, anche quando sembra che non li paghi nessuno. I debiti che non paga il debitore, li paga comunque il creditore, rinunciando volente o nolente ai propri soldi. Se il creditore non ha più soldi, nel senso che le garanzie che ha in mano, oppure il suo capitale non valgono il credito cui deve rinunciare, e quindi si apre un buco così grosso da minacciare la stabilità dell’economia. Allora lo Stato inventa una soluzione per socializzare il debito cercando di “spalmarlo” sul massimo di cittadini possibile, come succede con il debito pubblico e il più dilazionato possibile. Da qui possiamo arrivare ad una prima conclusione: il rischio del debito privato di un paese è sempre privato, alla fine, se non si vogliono fare danni a catena. Corollario della prima conclusione è che bisogna controllare sempre il livello di rischio che è associato al debito privato di una certa economia, ma a chi spetta questo controllo? Alle tanto discusse agenzie di rating? A qualche organismo internazionale superpartes? Quel che è certo è che al momento nessuno si sta preoccupando di farlo, o almeno di farlo in modo appropriato.
Consideriamo, come suggerisce l’”Economist”, la politica della Fed della "term auction facility": questo strumento serve per finanziare le banche in difficoltà senza far sapere al mercato che la banca che lo usa è in difficoltà. Si tratta di creare un’imperfezione informativa per permettere alla banca di finanziarsi senza soffrire una perdita di reputazione. La motivazione alla base è che, se la banca non scaricasse su terzi i propri rischi, non accederebbe alla finestra di rifinanziamento. Questo sembra essere solo un esempio di una cosa già nota: ogni politica monetaria che salva sistematicamente le banche crea azzardo morale. Ma qui non abbiamo una conseguenza indesiderata di un salvataggio, ma una strategia deliberata per evitare la crisi.
E, per la prima volta da quando abbiamo deciso di intraprendere quest’attività del blog, le nostre idee, cari lettori, divergono. Per cavalleria esponiamo prima l’idea di Federico, che spulciando qua e là ha trovato questa notizia sullo schema di Ponzi e ha, quindi, dato avvio alla discussione:
Se si ha paura di comportarsi in maniera irresponsabile, perché i mercati forniscono incentivi corretti, questi incentivi vanno eliminati, perché come la storia passata ci insegna è stato il comportamento irresponsabile da parte degli attori economici che ha portato all’evoluzione del sistema finanziario, a volte con effetti positivi, a volte con effetti decisamente deleteri (vedi la crisi dei mutui sub-prime), ma che sicuramente saranno la base della finanza del futuro.
Secondo Valentina, invece, non è necessario che si debba arrivare all’azzardo morale (leggi speculazione) per avere un mercato efficiente, o comunque un sistema finanziario che non collassi; la speculazione certamente fa muovere molto, ma non può e non deve essere il volano per alcun tipo di economia! Insomma, è come un raffreddore latente e mal curato: dovrebbe essere attentamente monitorato e contenuto perché può avere degli effetti devastanti.
Secondo entrambi, comunque, il moral hazard è pericoloso perché sono in ballo grossi rischi… ma anche grosse opportunità!