martedì 16 novembre 2010

Tobin Tax: della serie, alle volte ritornano...


Mi ha sempre incuriosito la Tobin Tax –dal premio Nobel per l’economia James Tobin che la propose nel 1972, anche se autorevole dottrina sostiene che anche Keynes ne era fautore–  l’imposta che colpisce tutte le transazioni sui mercati valutari.
La curiosità nasce dal fatto che questa tassa viene via via riproposta, ma perché? Beh, perché il meccanismo sembra piuttosto semplice e al tempo stesso perfetto: con questa imposta si dovrebbero colpire tutte le transazioni sui mercati valutari per stabilizzarli (penalizzando le speculazioni valutarie a breve termine), e contemporaneamente per procurare delle entrate da destinare alla comunità internazionale: come ha scritto Rustichini, sarebbe come prendere tre piccioni con una fava (colpire gli avidi, stabilizzare i mercati e aiutare i poveri). Ma serve veramente a colpire gli avidi speculatori e stabilizzare i mercati? La teoria ci dice che se introduciamo una tassa sulle transazioni finanziarie, il volume delle transazioni si ridurrà; ma cosa succede a volatilità e speculatori? La riduzione della volatilità nella visione Stiglitz-Summers avviene perché a essere scoraggiati sono gli investitori che operano con informazione imprecisa (noise). Si è capito però che l'effetto sugli speculatori veri, quelli informati, è l'opposto. La riduzione del volume delle transazioni rallenta il trasferimento dell'informazione nei prezzi, e gli speculatori hanno il tempo di fare comodamente i loro profitti. Esperimenti di laboratorio confermano questa analisi: il volume delle transazioni scende, gli scambi si spostano verso mercati non soggetti a tasse, la volatilità aumenta se ci sono zone esenti.
E anche le esperienze confermano che la Tobin Tax non è la manna dal cielo che sembra… Infatti, in molti stati l’imposta è stata introdotta, ha avuto vicende travagliate, e conseguentemente è stata eliminata. È successo in Svezia: introdotta nel 1984, (abolita nel 1992) Argentina (1992), Brasile (2007), Giappone (1999), Finlandia (1992), Olanda (1992), Nuova Zelanda (1992).
Un altro problema non indifferente è la scelta dell’aliquota. Nella mente del premio Nobel Tobin era sufficiente un’aliquota modesta (0,05%) per raccogliere così tanto denaro da sradicare nel mondo la povertà estrema. Nei paesi in cui questa imposta è stata introdotta si è notato un progressivo innalzamento dell’aliquota, che però si rileva ben presto controproducente e fa spostare le transazioni in altri mercati. Emblematico il caso della Svezia, dove l'aliquota iniziale era già alta (0,5%), ma raddoppia (1%) due anni dopo: subito dopo il 60% delle transazioni si sposta a Londra, e la tassa viene eliminata.
Ora, l’idea della Tobin Tax è senza dubbio affascinante, ed è per questo che quando leggo un articolo che ne parla non resisto alla tentazione e cerco sulla rete tutte le più disparate informazioni su quello che vogliono fare i governi, inoltre – a mio parere – il nome dell’imposta richiama Robin Hood, il celebre paladino che rubava ai ricchi (gli avidi speculatori) per dare ai poveri (che, ahimè, non speculano per niente!). Ma le favole spesso sono lontane dagli andamenti del mercato, e per quanto riguarda l’assonanza del nome mi torna in mente che anche la famigerata IRAP, definita da Qualcuno Imposta RAPina, poi non è stata tolta da quel Qualcuno…

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