giovedì 2 giugno 2011

Le crisi aziendali: aspetti pratici

Oggi parliamo di un argomento purtroppo quanto mai all'ordine del giorno, le Crisi Aziendali. Le crisi, nell’attuale scenario economico, sono una realtà, purtroppo, ancora frequente. Esistono alcuni tipici segnali che informano il management dell’esistenza di complicazioni nel corretto funzionamento dell’azienda. Qualche esempio? Perdite economiche (riduzione delle vendite), incidenza dei costi variabili (incremento delle materie prime), sottocapitalizzazione (situazione tipica delle piccole e medie imprese italiane), forti squilibri nei flussi finanziari (drenaggio di liquidità), insolvenza, e una generale e condivisa sensazione di incertezza nei confronti del futuro sono sintomi che non vanno trascurati.
Per uscire dalle crisi aziendali è fondamentale affrontarle con un approccio corretto. Non vanno interpretate come eventi catastrofici e imprevedibili, ma come possibili momenti negativi nel ciclo di vita di un’azienda. Un elemento importante che l’imprenditore deve tenere in considerazione è l’effetto tempo: infatti, soltanto se i segnali di crisi verranno colti tempestivamente sarà possibile trasformare i problemi in reali opportunità di rilancio per l’azienda.
L’imprenditore in molti casi non accetta la realtà, si trova a reagire alla crisi quando ormai è troppo tardi e l’unica procedura che può essere adottata è ormai solo il fallimento (disciplinato dal Decreto 16 marzo 1942, n. 267 c.d. “legge fallimentare”, modificato dai D.Lgs 9 gennaio 2006 n.5 e dal D.Lgs 12 settembre 2007 n.169 che hanno riformato il diritto fallimentare).
Nei casi meno gravi, all'imprenditore commerciale che si trova in stato di insolvenza, o semplicemente “in stato di crisi”, è concessa la possibilità di evitare il fallimento e tutte le gravi conseguenze che esso comporta, utilizzando un’altra procedura concorsuale, il concordato preventivo, il quale si sostanzia in un accordo tra il debitore ed i creditori, in forza del quale il primo si obbliga a pagare i propri debiti, proponendo un piano di rientro ai propri creditori.
A questo proposito, i dati pubblicati dell’Osservatorio Trimestrale sulla crisi d’impresa pubblicato da Cerved Group, che analizza le imprese italiane, ci confermano che la crisi sta ancora interessando il nostro sistema economico: i fallimenti stanno ancora aumentando (+6% rispetto al 1° trimestre 2010); la buona notizia è che il tasso di crescita è sceso dal 25% al 6%. Le domande di concordato preventivo, che si erano nuovamente innalzate nell’ultimo trimestre del 2010 sono calate a 249 nel 1° trimestre 2011, ma rimangono storicamente elevate. Se paragoniamo i dati dell’Italia con quelli del resto d’Europa, notiamo come in Italia la crisi abbia colpito soprattutto le imprese di tipo manifatturiero: la percentuale di fallimenti nell’industria manifatturiera italiana è molto più alta rispetto alla media europea, dove invece commercio e servizi hanno sofferto di più.
C’è da dire però che il tessuto imprenditoriale italiano, caratterizzato dalla piccola e media impresa, ha preservato al nostro paese danni ancora peggiori. A tale proposito, è bene menzionare un altro strumento a disposizione delle imprese, introdotto con la legge 80 del 2005 art. 182 bis, ovvero gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Questo strumento che fa parte delle risoluzione stragiudiziali (“privatistiche”) alla crisi d’impresa, ove applicabile, risulta essere, rispetto al fallimento, uno strumento più snello che consente in tempi più rapidi e un soddisfacimento più elevato della massa dei creditori.
A mio avviso, la scelta migliore nel caso di crisi aziendali è affidarsi a un team di professionisti: in tal modo l’imprenditore e i suoi collaboratori possono concentrarsi sulle attività propositive dell’azienda, lasciando in mani esperte la scelta dello strumento migliore per risolvere la situazione di crisi in cui si trova l’azienda.

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